Prosegue l'analisi di PBG sulle procedure fallimentari (06/06/2012)

Negli ultimi mesi due diversi lavori di ricerca sull'andamento della legge fal- limentare hanno evidenziato una criti- cità nella sua applicazione. La ricerca promossa dalla PBG con l'Universita di Cassino indica ,infatti, che il Comitato dei creditori non viene costituito nel 47% dei casi, quella successiva, promossa da Assonime, ne conferma il dato, indican- dolo in una percentuale superiore al 50%.

Fino al 2006 l'esistenza del CdC all'in- terno delle procedure fallimentari era considerata ininfluente. L'organo aveva esclusivamente una funzione consultiva ed i suoi pareri erano ricevibili in base al principio del silenzio/assenso : in pratica non venivano neanche espressi. Dall'en- trata in vigore della riforma il comitato dei creditori, invece, assume un valore centrale all'interno della gestione della procedura. Gli articoli 40 e 41 della legge individuano le funzioni ed i poteri del CdC come poteri di vigilanza ed autoriz- zazione, fino ad arrivare alla possibilità di revoca del Curatore stesso. L'istituto del fallimento, fino al 2006, prevedeva che il creditore istante, dopo aver ottenuto il fallimento del suo debi- tore, venisse, di fatto, espropriato di ogni possibilità di intervento. L'andamento della procedura di liquidazione era esclusivamente nelle mani del Curatore e del Giudice Delegato. Con la riforma del 2006, il legislatore riconosce i diritti dei creditori ed assegna nuovi poteri a questo organismo. Purtroppo, accanto a questo lodevole intendimento, inserisce una serie di responsabilità, assimilando la figura del componente del CdC, ai sen- si dell'art. 2407 del Codice Civile, a quel- la dei sindaci delle società di capitale, ottenendo un risultato inverso: quello di scoraggiare, nei fatti, la partecipazione

dei creditori alla gestione delle procedu- re concorsuali.
Non è sufficiente la previsione di un compenso per i membri del comitato ad incentivarne la partecipazione. Dobbiamo anche rilevare una carente informazione verso le imprese che cono- scono pochissimo l'esistenza della nor- ma. Le conseguenze di questa situazione sono un'ulteriore ostacolo alla speditez- za della gestione del fallimento.

I ritardi nella formazione del CdC, che nel 40% dei casi riesce comunque a formarsi, allungano i tempi di approva- zione del Programma di Liquidazione e l'avvio del processo di liquidazione.

In assenza del CdC le sue funzioni ven- gono assunte dal Giudice Delegato, con una sostanziale riedizione del vecchio rito e con tempistiche decisionali in- fluenzate dal sovraccarico di lavoro dei giudici.

Nei casi di riuscita formazione del comi- tato, la sua composizione è prevalente- mente delegata alla classe dei fornitori, seguita da quella dei professionisti e dei lavoratori. La presenza delle banche è, quasi del tutto, scomparsa.

Il CdC, in sintesi, perde anche di quali- tà; torna ad essere una sovrastruttura all'interno del processo di gestione della procedura, si perde la possibilità di eser- citare controllo ed indirizzò sull'operato del Curatore, ciò che il legislatore aveva auspicato.

Questa situazione, evidenziata dalle in- dagini effettuate, rischia di non essere mai risolta; si rende necessario un in- tervento legislativo per l'abolizione dei profili di responsabilità dei componenti del CdC al fine di favorirne la parteci- pazione alla gestione della procedura concorsuale.

Giovanni Colmayer 

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